"Un gran Museo ricco di ogni genere che chiama l’attenzione d’ogni viaggiatore" - Ignazio Paternò Castello
Tra i molteplici nuclei collezionistici del Museo Civico Castello Ursino spiccano le raccolte dei Padri Benedettini di San Nicolò l’Arena che, a seguito delle leggi Siccardi (1850), che aboliscono i privilegi goduti fino ad allora dal clero cattolico, tra il 1866 e il 1868, vennero espropriati del ricco patrimonio archeologico. Di fatto la legge sanciva il passaggio del patrimonio monastico a quello statale che, in seguito, lo avrebbe usato per allestire i vari musei civici. Quando diventò di proprietà comunale l’intera e ricchissima collezione dei Benedettini era già stata adibita a museo imitando quanto avevano fatto i monaci di S. Martino alle Scale a Palermo. Infatti, intorno alla prima metà del ‘700, per iniziativa dell’Abate Vito Amico – studioso con un’ampia rete di contatti con i più noti collezionisti d’Italia – e del Priore Placido Scammacca – in stretti rapporti con il collezionismo romano – era allestita una vera e propria area museale nelle sale dei locali del loro monastero, dove oggi sono le biblioteche riunite Civica e Ursino Recupero. Tutto ciò grazie ad una ricca collezione antiquaria, con reperti greci e romani, provenienti da acquisti nel mercato romano e napoletano o rinvenuti negli scavi condotti in diversi luoghi di Catania. Una sezione dedicata alla storia naturale (fossili, conchiglie, pietre e lave dell’Etna), una raccolta di dipinti, insieme ad armi ed altre manifatture come i paramenti ecclesiastici.
Sulle origini di un vero e proprio museo dei benedettini, ancora oggi, non è stata stabilita una data. Ma in una lettera, tratta dallo scritto di Domenico Sestini, bibliotecario, La descrizione del museo del principe di Biscari egli riferisce delle "quattro ben larghe e comode stanze" in cui era ordinato il museo benedettino, che ospitavano "una raccolta di terracotta, tra le quali vi è una serie di vasi etruschi parti semplici, e parti istoriati”; e poi, "l’istoria naturale, della quale ne è ricca quanto mai"; inoltre "un prezioso deposito di medaglie di ogni genere in oro, in argento, e in bronzo, di ottimi idoli, e di altre antichità di tutto merito" e, infine "iscrizioni, e marmi oltre un numero rispettabile di quadri che ne ornano le pareti".
I monaci Benedettini ora parteciparono agli acquisti fatti dal Principe di Biscari, ora invece comprarono, indipendentemente dal patrizio catanese, vasi e bronzi antichi a Napoli ed a Roma, aggiungendo inoltre un gruppo di pitture catacombali romane ed alcuni oggetti orientali portati da missionari dalla Cina e dal Giappone. Così i monaci vennero a formare una raccolta che oltre a integrare quella biscariana, comprendeva delle sezioni nuove ed interessanti. Una sorta di “pastiche pittorico” era quello che adornava le stanze adibite a museo: quadri di tendenze classicistiche le cui fonti risalgono alla scuola veneziana, come “L’ultima cena” di Luis de Morales, due quadri di S. Sebastiano che si credono l’uno dello Spagnoletto e l’altro del Guercino; una Santa Caterina attribuita al Veronese; una deposizione di Cristo attribuita a Caravaggio, così riporta Gioacchino Di Marzo in Dizionario topografico della Sicilia tradotto dal latino e aggiornato da G. Di Marzio, volume I, 1855, p. 299. Ma nella quadreria dei benedettini non bisogna dimenticare la cospicua presenza di opere di artisti di scuola siciliana come il monrealese Pietro Novelli, il messinese Giovanni Tuccari, Filippo Paladini. Lo stesso Di Marzo non manca di riferire di trittici e dittici dell’epoca bizantina come la “Madonna tra i santi Lucia e Giovanni”, “La Crocifissione”, “L’Annunciazione e due Profeti”, a dimostrazione di come l’interesse per la pittura medioevale fosse intrinseca alla cultura monastica proprio per le tematiche religiose.
Cronologia incerta
Cronologia incerta
Cronologia incerta
IV-III sec a.C.
Fine V sec a.C.
460-450 a.C.
VII-VI sec a.C.
V sec. a.C.
Età arcaica
Età arcaica
Età arcaica
Età arcaica
Età arcaica
Età arcaica
Età tardo-arcaica
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