Fu archeologo e capostipite del ramo dei Biscari, si impegnò a "erigere a qualsiasi costo un Museo"
Il Museo del Principe di Biscari venne inaugurato nel 1758 e, per celebrare questo evento, venne coniata una medaglia che recava – sul diritto – il ritratto di profilo di Ignazio Paternò Castello, principe di Biscari, con il nome, titolo ed età; mentre nel rovescio si leggeva la seguente iscrizione: “Publicae utilitati, patriae decori, studiosorum commodo, museum costruxit Catanae, anno MDCCLVII”. La data inscritta sulla medaglia 1757 si riferisce all'anno di coniazione. Invece la fase trascritta sulla medaglia fa riferimento allo spirito culturale e civile che sosteneva la curiosità antiquaria dell’aristocratico Biscari. In una nascente epoca borbonica, la politica cui aspirava il Principe era quella di promuovere il passato della città di Catania, nell’intenzione di valorizzarlo anche fuori dai confini italici. Il museo in quel periodo venne aperto ad un pubblico culturalmente elitario ma senza distinzioni, dagli ecclesiastici agli aristocratici appassionati cultori di archeologia a cui veniva dato agio di consultare anche la numerosa ed ampia collezione libraria custodita nella antica e preziosa biblioteca Biscariana.
Per dirla con le parole dello storico Giarrizzo “Il ruolo svolto dalle grandi famiglie aristocratiche siciliane fu un fenomeno culturale che ebbe portata europea” si può inscrivere perfettamente nella attività frenetica del giovane Biscari. Infatti era il 1743 quando il giovane ventiquattrenne, chiese al Senato della città di poter custodire nel suo museo il torso colossale, di età giulio-claudia, allora ritenuto greco, rinvenuto a Catania nell’area del convento di Sant’Agostino.
Il museo fu sistemato definitivamente tra il 1776 e il 1786. Nel 1779 il principe Ignazio fu nominato dal re delle due Sicilie Ferdinando III, Custode e soprintendente gli scavi e le antichità della Val di Noto e della Val Demone, cioè di tutta la Sicilia Orientale. Mentre a soprintendere la parte occidentale dell’isola (Val di Mazara) fu chiamato il Principe di Torremuzza. Fu in questi tempi che il Biscari scrisse due opere fondamentali perché riportano le descrizioni di monumenti antichi siciliani: Il Viaggio per tutte le antichità della Sicilia del 1781 e l’altro – scritto nel 1779 ma rimasto inedito sino al duemila quando venne pubblicato da Pagnano dal titolo Relazione delle Antichità del Regno di Sicilia esistenti nelle due Valli di Demone e di Noto, meglio noto come Plano per le antichità, 2001. L’attività di ricerca e di scavo venne concentrata dal Biscari verso il Teatro Antico di Catania, ma anche presso il convento dei Benedettini e le adiacenti strutture termali, nonché in località dell’hinterland catanese come le campagne di Centuripe, nei suoi poderi o l’antica Camarina (cit. Libertini, Il Museo del Principe di Biscari, 1930). Fu il fiorentino Domenico Sestini, antiquario e bibliotecario, giunto a Catania e assunto dal Biscari in qualità di catalogatore di tutti i reperti del museo che già nel 1776 aveva stilato il catalogo illustrato e pronto per la stampa. Ma dopo la morte di Ignazio Paternò Castello prese l’incarico di custode delle valli di Noto e Demone il suo secondo figlio Gianfranco Paternò. Quest’ultimo, anch’egli erudito e antiquario, fece effettuare scavi e restaurare antichi monumenti in città. Ma, nel 1803, l’anno in cui morì, cominciò la decadenza del museo, dovuto anche all’allontanamento da Catania per Napoli del VII principe, nipote di Ignazio e omonimo dello stesso. Da quella data il museo rimase immutato per più di un secolo e mezzo, durante il quale gli eredi si spartiranno i beni. Poi, tra il 1927 e il 1930, il principe Roberto, X Biscari, dona la sua quota del museo al Comune di Catania e il suo esempio veniva imitato da altri coeredi, soltanto alcune quote degli aventi diritto dovettero essere acquistate dal Comune. Toccherà all’archeologo e storico Guido Libertini catalogare e sistemare i numerosi reperti perché “pochi pezzi avevano avuto una trattazione scientifica” afferma lo stesso Libertini. Dopo il trasferimento delle raccolte contenute all’interno di Palazzo Biscari alla Marina, il patrimonio archeologico fu inserito nella collezione civica del Museo del Castello Ursino, risultando essere, almeno numericamente, la componente più significativa del museo stesso. Infatti la collezione appartenuta a Ignazio Paternò Castello, già alla fine del settecento, ricopre una importanza primaria oltre che per il numero, anche per la varietà dei suoi pezzi. Di essa facevano parte, con opere preziose di scultura greca e romana, vasi attici, sicelioti e italioti, più di trecento iscrizioni o epigrafi greche e latine, bronzetti e prodotti fittili di vario tipo, monete; e, raccolti nel gabinetto di storia naturale esemplari di animali, piante e minerali in maggior numero siciliani, oltre a tessuti, porcellane, strumenti ottici e armi. Un tesoro archeologico che, dal 1934 in poi onora il patrimonio artistico all’interno del Museo Civico di Catania, ma rimane sempre il vanto di una delle famiglie aristocratiche più illuminate della stessa città.
VI sec a.C.
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I-III sec d.C.
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